Il neorealismo è una delle tendenze cinematografiche più importanti del secolo scorso. Non è un caso quindi che creò un nuovo approccio nel modo di girare e andò ad influenzare anche altri paesi.
Vediamo nel dettaglio questa importante fase del cinema nostrano.
La nascita del neorealismo
Al termine della seconda guerra mondiale in Italia si è sviluppato un nuovo filone cinematografico mirato a raccontare il Paese senza veli. Storie di vita verosimili spesso girate fuori dai set cinematografici semplicemente osservando il coraggio o la rassegnazione di quelle persone o quelle famiglie che dovevano rimettersi in piedi e ricostruire tutto, compreso il significato di “abitudini quotidiane”.
Nasce così, quasi per caso, il neorealismo cinematografico italiano, un genere che porterà sugli schermi volti presi in prestito dalla strada e capaci di raccontare con uno sguardo, un silenzio o una smorfia di amarezza tutti gli eccessi di quel periodo. Stati d’animo, prima ancora che percorsi di vita, che raccontano il tumultuo interiore tipico del dopoguerra; un sentimento generato dall’impossibilità di poter dominare gli eventi e il rifiuto di diventare involontarie vittime dell’immobilismo sociale e culturale. Una condizione, questa che impediva di poter combattere per il proprio riscatto sociale.
Un percorso spontaneo, quello del neorealismo italiano, generato e sviluppato in modo quasi autonomo, dettato dall’evolversi degli eventi o dalle necessità incombenti come, ad esempio, la scelta di utilizzare le strade di campagna e di periferia perché i set di Cinecittà erano stati occupati dagli sfollati al termine della guerra. Quello del neorealimo è stato un ciclo lungo, durato circa 20 anni, che ha iniziato ad esaurirsi soltanto negli anni ’60 quando il cambiamento delle abitudini degli italiani e, soprattutto, dei loro sogni e desideri hanno convinto i registi e gli sceneggiatori a proiettarsi verso altre tematiche.

I protagonisti di un’era divisa tra luci e ombre
Sebbene il primo film di questo genere fu “Ossessione”, girato da Luchino Visconti nel 1943, è con “Roma città aperta” che il filone del neorealismo italiano dilaga anche all’estero e viene ancora oggi ricordato. Capolavori, quelli girati in quest’epoca, che si possono ricollegare a quelli narrati con la penna dagli scrittori del Verismo dell’inizio del ‘900.
Dietro le telecamere, in mezzo alle strade e davanti ad attori spesso “improvvisati”, si sono distinti Federico Fellini, Roberto Rossellini, Vittorio de Sica, Luchino Visconti, Alberto Lattuada, Matteo Gianoli, Renato Castellani, Pietro Germi, Giuseppe De Santis, Francesco Maselli, Luigi Zampa e Carlo Lizziani. La grande capacità di questi artisti, però, non è stata solo quella di trovare la giusta sceneggiatura o la scenografia ideale per raccontare la storia quanto, soprattutto, quella di aver selezionato attori diventati vere icone e simboli di un’era.
Come dimenticare Aldo Fabrizi nei panni di Don Pietro, gli intensi e molto significativi sguardi di Anna Magnani in “Roma città aperta” o Silvana Mangano in “Riso Amaro” o, ancora, i volti dei tanti bambini che hanno recitato noncuranti della telecamera puntata davanti ai loro occhi? Non è possibile, però, riuscire a citare tutti i protagonisti che, uno dopo l’altro, hanno risposto all’invito dei registi di raccontare con le loro espressioni, gesti e toni della voce, quelle storie che conoscevano molto bene proprio perché vissute, anche se non direttamente, attraverso le esperienze di amici o conoscenti.
Grandi e bambini, attori professionisti o improvvisati alla prima esperienza, sensazione di sicurezza o di inadeguatezza : è proprio il connubio degli opposti che rende questo filone cinematografico così affascinante e commovente. Un interesse che ha spinto anche attori di fama internazionale ad accettare un ruolo in produzioni che sono riuscite, presentando l’umiltà e talvolta la povertà del neorealismo, ad entrare dalle patinate porte di Hollywood. Tra questi bisogna citare Anthony Quinn nei panni del rozzo saltimbanco Zampanò e coprotagonista, insieme a Giulietta Masina, del film “La Strada” di Federico Fellini.

Le trame e i meritati riconoscimenti internazionali
Le sceneggiature delle pellicole neorealiste italiane, sebbene si distinguono nelle trame dei protagonisti, hanno un unico filo conduttore: raccontano uno spaccato della realtà italiana, la differenza di ceto e quelle economiche presenti all’indomani della guerra mondiale ma, soprattutto, le passioni e le emozioni vissute intensamente dai personaggi.
E se in “Roma città aperta” Roberto Rossellini è stato capace di raccontare sotto una particolare lente di ingrandimento la resistenza italiana all’occupazione tedesca, in “I Malavoglia” Luchino Visconti rivisita il romanzo di Giovanni Verga riuscendo a riprodurre sullo schermo il dolore e la forza d’animo di quella sfortunata famiglia siciliana.
Storie che sono riuscite ad entrare nei cuori degli spettatori ma che hanno anche suscitato l’interesse dei critici del settore; un’eco che è riuscita ad arrivare anche all’estero con l’assegnazione di alcuni tra i più importanti riconoscimenti dell’ambiente cinematografico.
Grandi successi come quelli che ha ottenuto Vittorio De Sica in ben tre pellicole. Una parabola ascendente che inizia nel 1946 quando con “Sciuscià” riesce ad ottenere un Oscar onorario e che, qualche anno dopo, prosegue brillantemente nel 1948 con “Ladri di biciclette” che ottiene il riconoscimento di “Oscar al miglior film straniero” e si conclude nel 1951 con “Miracolo a Milano” che conquista, al Festival di Cannes, la Palma d’Oro. Un’esperienza certamente non isolata dato che, qualche anno dopo, è stata proseguita da Federico Fellini che nel 1953 con “I Vitelloni” ottiene, alla Mostra di Venezia, il Leone d’Argento. Il regista non si è fermato qui e nel 1954 fa incetta di premi con la pellicola “La Strada” riuscendo a portare a casa un Oscar per il miglior film straniero, il Leone d’Argento e ben due nastri d’argento come miglior regia e miglior produzione.

Un ciclo concluso con la Menzione speciale alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia che nel 1955 Francesco Maselli ha ottenuto con il film “Gli sbandati”.
Pellicole che hanno lasciato il segno nella storia della cinematografia italiana e che meritano di essere viste e apprezzate ancora oggi.
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